Dedicato al mio professore di storia e filosofia Lorenzo Grilli,
Vi prego di saltare l'introduzione ignobile e illeggibile.
De Abusuum Natura di Riccardo Pina Sibani
È la vigilia di natale e le domande che mi pongo sono: “cosa ci sarà dentro a quei pacchi colorati sotto l’albero?”, “I miei genitori mi regaleranno il nuovo iPhone 5 a partire da 729€ o il televisore da 32’’ che starebbe così bene in camera mia mentre gioco con l’ultimo FIFA13?”. Non mi chiedo se sia felice, se sto contemplando e onorando il giorno della nascita di Cristo e sfido chiunque: cristiano cattolico, protestante, buddista, induista, musulmano, ateo o teista a celebrare l’immacolata concezione piuttosto che il Natale (o una qualunque ricorrenza).
A Natale si guadagna, con l’immacolata concezione no. Il 25 Dicembre si è a casa vicino alla propria famiglia a cui si fanno costosi regali con lo scopo finale (nascosto) di consumare e non di rendere felici i conoscenti.
Rendere felici le persone con un oggetto è di per sé una cosa misera: come si può legare la “Felicità” ad uno strumento? I piaceri della vita sono ben altri, sono nelle piccole cose come: un film o una cena con gli amici, una piccola vacanza con il partner, un caffè con i colleghi (o i compagni di classe). Quanti di questi piaceri sono liberi? Ovvero, quanti di questi piaceri sono gratis?
Ci dicono che “il tempo è denaro”, che ogni secondo è importante, che bisogna lavorare ed essere produttivi e questo sin dalla scuola primaria: compiti e verifiche, compiti e verifiche con ritmi folli, con materie che non ci serviranno (vedi Latino) con il solo scopo di insegnarci a gestire i carichi di lavoro. Se un pomeriggio volessi contare i petali di una margherita e fare il “m’ama non m’ama”?
Sarebbe impossibile perché sicuramente dovrei studiare matematica e dopo, magari, avrei pure allenamento: la margherita aspetterà la prossima primavera: di tempo ce ne è.
Oppure potrei lasciare tutto: lanciare il mio spirito libero da Los Angeles verso New Orleans a bordo di un chopper come Denis Hopper e Peter Fonda in Easy Rider ma così facendo la buona Mamma-Societàdeiconsumi mi avviserebbe che la mia cultura ne risentirebbe: “che fine avrà fatto Seneca dopo l’esilio in Corsica?” e così, di riflesso, anche il mio lavoro: “Non potrò mai creare un franchising di cavolo biodegradabili (che, sì, ogni cavolo è biodegradabile essendo organico ma la scritta “BIO” sulla confezione mi farà vendere almeno il 47% in più)”.
Scegliendo di rimanere a studiare avrò comunque la sensazione di aver fatto una libera scelta (e chi potrebbe negarlo?); senza rendermi conto che tutto ciò è dato da una Mamma-Societàdeiconsumi che si è generata da sé in millenni di evoluzione. Nata dal baratto e cresciuta fino ai cartelli finanziari, trasformando l’uomo da un animale capace di dominare con rudimentali strumenti la natura a una bestia che soverchia l’ecosistema planetario.
La breve storia della Civiltà Economica
In origine gli uomini erano dei primati che rispondevano a degli istinti naturali: mangiare, bere, riprodursi e come ogni altro animale si era adattato, secondo darwiniana evoluzione, al suo habitat.
Un giorno trovò un bastone abbastanza appuntito e robusto (o un sasso che dir si voglia), lo raccolse e perforò con esso la sua preda (cena). L’uomo ha così dominato per la prima volta la natura.
Questo importante passo è stata la conseguenza di un istinto (magari, attaccato da un animale predatore, ha raccolto il suddetto bastone e difendendosi con quello ha vinto la sua battaglia per la sopravvivenza), un istinto animale che è in tutti gli esseri viventi (che Freud avrebbe definito pulsazioni).
Cosa analoga è accaduta al castoro che, per costruire la sua tana al riparo dalle fiere che appartengono ai livelli superiori della catena alimentari, crea ancora oggi per semplice istinto delle dighe in cui giace durante l’oscurità e si rifugia al sicuro di giorno.
Non voglio assolutamente paragonare l’uomo ad un castoro (il secondo è sicuramente più civile) ma sorge una riflessione: il castoro ha potuto scegliere di costruire le dighe?
No, probabilmente un gruppo di castori non ha avuto questo istinto ed è rimasto sulla terraferma: prelibata selvaggina per i crudeli (ma dovranno pur nutrirsi anche loro?) predatori, senza lasciare tracce ai posteri e filosofeggianti uomini.
Così alcuni uomini non raccolsero il bastone e soggiogarono al predatore: nemmeno di loro avremo mai traccia.
Il fortunato uomo che si salvò con il bastone sarà tornato alla tribù pieno di adrenalina raccontando l’avventura, ergo tutta la tribù viaggiò con un bastone come protezione.
Per sopravvivere l’uomo non ha avuto scelta.
Allo steso modo non ha avuto scelta neanche per quella questioncina qui analizzata riguardo il capitalismo e la nostra Mamma-Societàdeiconsumi.
Quindi l’uomo rinvigorito, temuto e dominatore, in poche parole vertice massimo della catena alimentare; secondo natura è destinato ad una bassa natalità (come leoni, squali, orsi o qualunque animale temibile vi venga in mente).
Però l’uomo ha imparato a controllare la natura, e bene, scopre infatti che dai semi di grano scartati e buttati fuori dalla caverna nascono spighe di ottimo grano e comincia così a coltivare i campi. La coltivazione occupa molto tempo e il povero neocontadino non ha tempo per cucirsi dei vestiti: se ne occuperà il neosarto. In che modo il neosarto darà i vestiti al neocontadino? In una tribù non servono né soldi né baratto: si è come in famiglia e ognuno lavora per il proprio e l’altrui bene.
Il neosarto della tribù X però è davvero bravo: ricava una pelliccia che non emana sgradevoli odori grazie ad un nuovo processo di essicazione: accorrono anche dai villaggi vicini per averle. Il neosarto è però già pieno di lavoro e non può regalare le sue pellicce perciò il neofalegname, per assicurarsi il capo pregiato, consegna una sua ruota al neosarto (baratto) ponendo così le basi dell’economia. La società collaborando progredisce, chi non collabora e si rifiuta di aprirsi alla società sparisce senza lasciare traccia.
Per sopravvivere l’uomo si apre al libero mercato senza aver avuto scelta.
Dal baratto alla moneta il passo è corto così come dalla moneta agli assegni o alle carte di credito che usiamo oggi.
Come dimostrato l’uomo non ha avuto scelta o, meglio, chi ha fatto la scelta giusta e si è adattato ha continuato a popolare in numero sempre maggiore la terra; gli altri sopperiscono.
La Breve storia della civiltà del costume.
In una tribù e nelle sue evoluzioni come lo stato si può trovare una figura maschile dominante; così come fanno gli animali con i nuclei organizzati. Per differenziarsi il capotribù indossa elementi decorativi come penne sul capo (indiani), una corona (Medioevo), una toga con un alloro sul capo (Romani) o un completo elegante (società moderna). Curioso il fatto che in antichità si indossassero i segni distintivi sul capo mentre ora si siano evoluti in indumenti come una divisa (Papa permettendo). Probabilmente il copricapo innalzava la figura del maschio alfa, come a farla sembrare più alta e quindi più forte (notare le rappresentazioni egizie con i faraoni che sono sempre più alti degli altri uomini). Questi segni distintivi si sono poi evoluti: anelli, profumi, collane, vestiti color porpora o lettiga con i piedini ornati d’oro: per affermare la propria supremazia e leadership verso gli altri componenti del gruppo “tribù” che possono essere gli amici, i colleghi o gli abitanti del paese. Qui ogni uomo ha continuato la propria evoluzione del costume, i coulottes, simbolo della rivoluzione francese, sono l’ultima moda del primo ottocento insieme alle ormai superate parrucche a boccoli bianchi e incipriate dell’epoca illuminista. Subito dopo Napoleone riscoprì i costumi romani e inventa pertanto il movimento vintage e tutti a seguire una moda di mille ottocento anni prima. Questo significa che l’uomo non indossa questi segni distintivi perché l’ultimo ritrovato della produzione significa possibilità economica e quindi attraverso il costume si ostenta il proprio dominio. Piuttosto è il maschio alfa che segna una moda (in questo caso l’Imperatore di Francia) e gli aspiranti leader seguono il suo stile.
Un esempio di questo fenomeno di Following lo possiamo notare già nei bambini:
Un fanciullo che frequenta le scuole elementari ha un gruppetto di amici dominato da un bambino alfa che “decide” le mode del momento: le BullBoys rosse, le Hot Wheels (e se mamma e papà sono proprio sfortunati il bambino alfa sarà il figlio dell’edicolante che colleziona mille figurine, mi sentirò per sempre i colpa per tutti quegli album Panini, tra l’altro odio pure il calcio) e supplicherà i genitori piangendo per avere quei segni distintivi che lo porranno al pari degli amici.
Comprando il bene che speriamo elevi il nostro grado sociale ci sentiamo felici, generiamo l’interesse dei nostri compagni (ce l’ho, ce l’ho, manca!) e la loro invidia (accipicchia che fortuna Totti è introvabile!). Questo fino a quando tutti si saranno uniformati al costume (tutti abbiamo finito l’album: lasciamo nell’armadio delle riviste che quando lo rivedrò a diciott’anni mi scenderanno lacrime di nostalgia) o verrà lanciata una nuova moda (e a diciotto anni non avrete nemmeno l’orgoglio di dire “Che bravo bambino che ero: l’ho pure finito l’album!”).
La nostra società continua su questa strada con un piccolo plus: la pubblicità. Il maschio alfa che ci suggerisce la moda non lo conosciamo nemmeno più: vogliamo soltanto imitare un modello palestrato che vive a diecimila chilometri da noi e che sicuramente non ha scelto come vestirsi, glielo avrà prescritto uno stilista avanti con l’età che non potrebbe mai prestare come indossatore perchè non ha la prestanza fisica degna di un maschio alfa. In tutto questo ci guadagna un panciuto capitalista con i baffi. E qui che ci ritroviamo: in una Mamma-Societàdeiconsumi che non mi lascia scelta o dentro il sistema con l’ultima moda o emarginato.
Non possiamo non dominare la natura.
Perciò una domanda:
È possibile vivere in maniera non capitalistica?
No.
Come già detto non abbiamo mai avuto una scelta: non oggi di sicuro ma nemmeno agli albori della società. Perchè l’uomo è frutto delle scelte adatte, come il povero castoro, non delle scelte moralmente giuste ma di quelle che lo hanno fatto sopravvivere e il capitalismo rende possibile la sopravvivenza più o meno agiata di sette miliardi di persone.
In una società non capitalista sarebbe possibile? E senza la società? Assolutamente no! Perchè se la siccità prende la pianura padana la Cina può vendere (?) il suo suo riso ai poveri contadini ma come glielo spedisce senza un camion, una nave o un aero costruito dal signore panciuto con i baffi?
L’unica proposta sarebbe generare delle industrie senza scopo di lucro per costruire i macchinari necessari ma si instaurerebbe un meccanismo pseudo-capitalistico perchè i prodotti si differenzierebbero anche minimamente (lo spazzolino con due setole in più) e indirizzerebbero la folla verso un prodotto. I produttori degli altri spazzolini o copiano lo spazzolino vincente (tanto non si guadagna nulla, compagno, fallo pure uguale a me e viva il Comunismo, perchè di comunismo stiamo parlando) fino a quando non si evolverà nuovamente il prodotto (aggiungere al retro della testina un inserto morbido massaggiante per la lingua) e si ritornerà ad una evoluzione che è cosa buona e giusta per l’umanità (altrimenti la peste ve la curate con le sanguisughe e addio alla scienza).
Lo sviluppo riprenderebbe quindi dalla medicina, dai farmaci perchè il bisogno primario diventerebbe la salute ma si evolverebbe magari in giacche che riparano di più dal freddo fino a tornare al capitalismo odierno.
Mi si potrà criticare: “l’uomo così resta schiavo dei bisogni che non ha”, “continuerà a desiderare oggetti per la propria felicità” ma a voi rispondo che lo spazzolino è soltanto la punta emersa di un iceberg di grandi dimensioni.
Un contadino che lavora tutto il giorno una terra che non frutta poi molto decide di comprarsi una zappa migliore (ops, chiede al regime della società una zappa migliore) prodotta da una industria che ha dato una particolare curvatura alla parte terminale dell’attrezzo che smussa meglio il terreno. (Non è competizione tra industrie come nel capitalismo, ma voglia di sfamare di più popolazione)
Un altro contadino del paese nota la nuova zappa (che in un sistema capitalistico sarebbe stata verde-arancione fluorescente e avrebbe avuto un nome con, come prefisso, “turbo” e, come suffisso, un numero 2000 o superiore, es. TurboZappa3000) e la vuole per incrementare il prodotto da devolvere alla società e per pavoneggiarsi davanti al paese perché una buona zappa è segno di virilità e le nubili della cittadella desiderano un marito con una bella zappa (la prossima volta non userò un attrezzo di forma fallica ma d’altronde questa è la mia società pseudo-freudiano e non posso estraniarmene) da qui ci si evolverà all’ultimo modello di cellulare per tornare ad una società fatta di piaceri materiali.
Il cellulare, la strada per la felicità, è infatti spesso paragonato al piacere carnale come se possedere l’oggetto per la felicità ci porterà ad avere una moglie più bella, capace di generare più figli e di evolvere la specie (ok, in verità solo per avere del miglior sesso, ma probabilmente è ancora colpa della mia società a cui non riesco ad estraniarmi).
Il Male del Capitalismo
Siamo ciò che appariamo, non ciò che abbiamo. Apparentemente chi ha più soldi, chi ha il capitale maggiore è il più potente in una società capitalistica (cioè basata sul capitale),così non è perchè se sei ricco ma non ti “godi” la vita non sei nessuno, sei un animale che vive per i soldi e che lavora per un conto in banca, che è poi l’obiettivo di un capitalista. La società invece vuole spendere (e come guadagnare i soldi da spendere se non lavorando come un animale?) ma, a differenza del piccolo Mazzarò capitalista, spende quanto ha guadagnato (alle volte anche di più portando così la crisi del 1930 o quella più recente dei giorni nostri).
Tutto questo è causato dalla PUBBLICITÀ che è il vero male del capitalismo.
La pubblicità in prima istanza ha salvato il la società moderna indirizzandola verso la seconda rivoluzione industriale per poi, in seconda istanza, letteralmente “mangiarselo” con il consumismo obbligando le persone a comprare per vivere felici.
Le pubblicità esistevano già ai tempi dei romani (ne sono state trovate a Pompei) ma la loro forma moderna e aggressiva è databile agli anni ‘30 per avere un’esplosione in Italia negli anni ’50 con il celebre Carosello. Ogni giorno di più il cancro del capitalismo avanza, le pubblicità sono dappertutto basta vedere una fotografia sui palazzi (es. di Times Square) o addirittura dipinte per terra ai semafori. Se la pubblicità continuerà sarà questa a decidere il nostro futuro.
Non sto estremizzando parlando di “cancro” o di “male del capitalismo” perchè se una anziana di settant’anni si riduce a rubare dei cosmetici in un supermercato (http://tinyurl.com/aty68hs) vuol dire che la pubblicità funziona eccome ma vuol anche dire che la pubblicità ci può far fare di tutto (non cito la bibliografia perchè sarebbe immensa, penso che il romanzo1984 di Orwell sia più che sufficiente).
Le persone al giorno d’oggi hanno un regime di vita troppo elevato rispetto al reddito. Le nuove tasse imposte non aiutano di certo il popolo ma potrebbe essere utile analizzare la provenienza del debito di stato (rigorosamente senza numeri, in pieno stile francofortese!).
Più della metà di questo deficit è infatti causato dagli interessi bancari: quindi metà del debito non esisterebbe senza banche (15000€ pro-capite di debiti in meno, zack!)
Occorre una premessa. Le banche possono essere considerate il capitalismo come istituzione; mediante la Borsa possono gestire i capitali e, in Europa, sono le uniche a poter stampare monete sonanti (di banche private stiamo parlando). Il debito è quindi una conseguenza abbastanza logica.
Potremmo definire il debito pubblico la crisi di sovraproduzione 2.0, potrebbe pertanto risultare opportuno fare un passo indietro riconoscendo di non poter vivere, per ora, in una società così agiata.
Tutto questo ovviamente non succederà, si preferisce affondare sul Titanic ascoltando l’orchestra suonare i violini suonare il “Canone di Pachelbel” piuttosto che cercare di salvarsi tenendosi a galla su una porta di legno. Questo sarà il motivo per cui caleremo a picco: cercando i piaceri temporanei piuttosto che quelli puri e genuini, quelli che durano: che ci rendono realmente felici e che non sono frutto del materialismo.
La soluzione (che dovete trovare voi)
In questa crisi a lungo annunciate e a lungo assecondata: se saremo in grado di non farci influenzare dalle reclàme e di ragionare con le nostre teste allora avremo ancora una possibilità di cambiare l’uomo e di vivere in maniera organizzata e felice semplicemente per la gioia di stare insieme.
Al contrario ci dovremo arrendere a questo sistema.
E non è detto che sia necessariamente un male.
Così consumeremo tutte le nostre risorse fino ad estinguerci o a decimarci cosa che hanno fatto milioni di animali, d’altronde “Alle locuste non importa della deforestazione.” a loro importa soltanto sopravvivere come singoli.
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